Former Head of PR and Communications di Immobiliare.it
Siete dei liberi professionisti e avete bisogno di uno studio, ma non ve la sentite di sostenere le spese di un affitto? Una possibile soluzione può essere destinare una parte della vostra abitazione a ufficio. Ecco quali permessi richiedere.
Se la vostra attività non prevede contatti con il pubblico e non richiede che i locali soddisfino particolari requisiti, sarete liberi di trasformare una stanza in studio senza alcuna autorizzazione. L’immobile, che rimane registrato in categoria A2, verrà dunque utilizzato in modo cosiddetto promiscuo.
Qualora abbiate l’esigenza di aprire i locali al pubblico, invece, dovrete apportare alcune modifiche strutturali. Prima di tutto è necessario che la parte dell’immobile a uso abitativo sia separata da quella destinata all’ufficio, in modo che la prima rimanga registrata come A2 e la seconda possa invece diventare A10 tramite un cambio di destinazione d’uso da richiedere in Comune. In seguito, bisogna recarsi all’Agenzia delle Entrate per aggiornare la situazione anche sul piano fiscale e, infine, ottenere il certificato di agibilità dall’amministrazione comunale. E se l’intero appartamento diventa ufficio? Se non sono necessari lavori di ristrutturazione, basta la presentazione della Scia (segnalazione certificata di inizio attività) in Comune.
Il regolamento condominiale può impedire lo svolgimento di un’attività professionale all’interno dell’edificio attraverso specifiche clausole: vietando il cambio di destinazione d’uso o anche il semplice uso promiscuo di un appartamento. Per annullare queste restrizioni e non incorrere in sanzioni, è necessaria l’unanimità in assemblea condominiale. Un ulteriore ostacolo potrebbe essere rappresentato dal piano regolatore, che in alcuni casi vieta l’esercizio di attività professionali in casa.
Per gli immobili a uso promiscuo la legge prevede che il libero professionista possa dedurre dal proprio reddito una somma pari al 50% della rendita catastale. Anche le eventuali spese di ristrutturazione sono deducibili al 50%, ma solo se il lavoratore autonomo non è in possesso di un altro immobile nello stesso comune, a sua volta destinato all’esercizio dell’attività.
di Laura Fabbro