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“Nessuno vuole minare l’indipendenza della Bce. Però, abbiamo tutta la libertà di criticare quando una scelta di politica economica ha effetti sulle tasche delle nostre famiglie”. Lo scorso 28 giugno, nel corso della Comunicazioni alla Camera in vista del Consiglio Europeo, la premier Giorgia Meloni era visibilmente irritata verso la previsione della Banca centrale europea, di innalzare ancora i tassi di interesse a luglio.
Il dito era puntato contro il presidente della Bce Christine Lagarde. Nelle stesse ore anche il vicepremier Matteo Salvini aveva rincarato la dose: “Una scelta irresponsabile e pericolosa. Certo la presidente Lagarde non avrà il mutuo da pagare”. E in tanti esponenti del Governo hanno proseguito la polemica.
Il rialzo dei tassi è una mossa classica
Alzare i tassi di interesse è una mossa “classica”, e in un certo senso obbligata delle banche centrali, decisa quando l’inflazione si fa sentire e occorre rallentare la salita dei prezzi.
Lo hanno fatto anche la Fed americana e la Banca d’Inghilterra, solo per citarne alcune. Dopo anni di tassi “zero” in Europa, a metà 2022 la Bce aveva iniziato a praticare ritocchi all’insù, arrivando fino al 4% di oggi. E potrebbe non essere finita.
Questo ha un riflesso sul mondo dei mutui, dove i sottoscrittori si trovano di fronte a uno scenario diametralmente opposto. Chi aveva sottoscritto un finanziamento a tasso fisso non si accorge di nulla: la rata resta quella di prima. Chi invece aveva optato per un tasso “variabile”, ora sta pagando la scelta con rincari continui. Le simulazioni sono tante, ma in media si calcola che, da inizio 2022, oggi le rate di un mutuo di questo tipo siano salite almeno del 60%. Un bello scossone per il bilancio delle famiglie. Chi ha ragione?
Le congiunture economiche
Secondo il nostro Governo, la Bce sbaglia perché l’inflazione di oggi non sarebbe figlia di un eccesso di domanda, ossia le persone non comprano troppi beni e servizi, ma saremmo ancora dentro l’onda lunga del rincaro dell’energia e delle materie prime.
Dunque l’inflazione sarebbe collegata a fattori esterni, come la guerra in Ucraina. La Bce e il Fondo monetario internazionale, invece, hanno puntato il dito contro le grandi imprese, un po’ in tutti i settori, dalle utility, alla Gdo, dai produttori di beni alimentari all’abbigliamento.
In sostanza, le aziende hanno scaricato gli aumenti delle materie prime degli anni scorsi tutti sui prezzi finali al consumatore. Tanto è vero che il 2022 è stato un anno di extra profitti, che però non si è neppure tradotto in un aumento dei salari.
Lo spiega questo recente articolo del fondo monetario internazionale, secondo cui almeno la metà dell’inflazione di oggi è da attribuire al peso dei profitti delle imprese.
Dunque, ci sono tanti fattori a comporre lo scenario di oggi. Ma la sostanza è che i titolari di un mutuo a tasso variabile sono in difficoltà.
Chi deve pagare il mutuo ce la fa?
Secondo la Banca d’Italia, al 31 dicembre del 2022, sul totale delle consistenze dei mutui italiani, il 37% era composto da mutui a tasso variabile. È interessante notare che questa difficoltà delle famiglie, almeno per ora, non si sia tradotta in un reale allarme per la tenuta delle banche. In poche parole, le famiglie stringono la cinghia ma tutto sommato riescono a onorare i prestiti.
La stessa Banca d’Italia, spiega che sul totale delle famiglie titolari di mutuo, solo il 2,5% si colloca realmente in una zona di vulnerabilità. E di queste, solo il 46% si riferisce a un finanziamento “variabile”. Dunque, il tipo di tasso non sarebbe davvero l’elemento determinante. Questa “tenuta” del sistema si deve anche ad alcuni fattori specifici.
Come sta tenendo il sistema bancario
Da un lato, i consumatori e le banche hanno preso dimestichezza con il “cap”, ossia quel tipo di mutuo variabile che prevede un tetto massimo entro cui non si possa salire. Su tutte le nuove erogazioni del 2022, oltre il 30% presentava il “cap”.
Poi, in alcuni casi è scattato un meccanismo di difesa, previsto dalla legge 197/2022: i titolari di mutui variabili con determinate caratteristiche (Isee sotto i 35mila euro, erogazione non oltre i 200mila euro e pagamenti regolari) possono convertire il finanziamento a tasso fisso, senza spese.
Quali saranno i prossimi passi?
Che succederà? Per il momento, le voci ufficiali contrarie all’operato della Bce sono state contenute. Oltre al Governo italiano, alcune critiche sono state espresse da quello portoghese, greco e, nei mesi scorsi, da quello irlandese.
La sensazione è che la Bce tirerà dritto perseguendo il suo compito di raffreddare l’inflazione, a colpi di rialzo dei tassi. Il timore maggiore è che un eccesso di stretta monetario porti a un contraccolpo così forte, come riduzione dei consumi, da innescare una recessione.
Per ora, il Pil della Germania ha registrato due volte consecutive il segno negativo, nell’ultimo trimestre 2022 e nel primo trimestre 2023, situazione che permette di parlare di “recessione tecnica”.
Ma il cancelliere Olaf Scholz ha tranquillizzato sostenendo che le prospettive per l’economia tedesche sono buone e che in questo caso, davvero, le difficoltà siano legato al contesto energetico, vista la forte dipendenza di Berlino dal gas russo.
Intanto, proprio dal Consiglio europeo, Giorgia Meloni ha lanciato una proposta, che potrebbe essere inserita nella prossima legge di bilancio. Ossia allargare molto di più la platea dei titolari di mutui a tasso variabile cui è permesso di trasformare il contratto senza spese in un tasso fisso.