Giornalista
Dai materiali utilizzati per la costruzione ai sistemi di riscaldamento, passando per gli impianti di produzione di acqua calda e i lavori di efficientamento strutturale. Sono questi i parametri su cui si basa la classificazione energetica degli immobili presenti sul nostro territorio nazionale, ripartiti nei diversi gruppi che ormai abbiamo imparato a conoscere.
Quello di rendere tutte le strutture del nostro Paese ecosostenibili e a basso impatto ambientale è un obiettivo che l’Italia ha concordato con l’Unione europea. In particolare, nel percorso verso la naturalità climatica, gli edifici residenziali dovranno raggiungere almeno la classe energetica E entro il 2030.
Vediamo allora tutti i dettagli su questo specifico raggruppamento.
Già oggi sono tantissimi gli immobili che rientrano nella classe energetica E, ossia quella mediamente più bassa all’interno di una scala di valori che parte dalla classe G (quella che rappresenta il livello minimo di efficientamento energetico) e arriva alle varie sottocategorie della classe A (che identifica il livello massimo di efficientamento energetico).
Ma in cosa si differenzia rispetto alle altri classi energetiche? Ecco le caratteristiche principali:
La stragrande maggioranza delle strutture residenziali costruite tra gli anni Settanta e gli anni Novanta rientra nella classe energetica E.
Di norma, gli edifici di questa tipologia sono dotati di impianti di riscaldamento alimentati a gas metano, mentre gli infissi e i serramenti di porte e finestre solitamente non sono realizzati con materiali termoisolanti che riducano le dispersioni di calore.
In media, una casa inserita nel gruppo E ha un consumo medio di 184 kWh.
Per questo, oltre a quanto specificato in precedenza, l’Ue ha voluto inserire anche un altro vincolo molto restrittivo per tutti gli stati membri, ossia quello di raggiungere la classe energetica D (con un consumo medio annuo di 90 kWh/mq) per tutti gli edifici già costruiti entro il 2033.